I miei aspetti umani
I miei aspetti umani
Un personaggio, di cui ahimè non rammento il nome, ebbe a sostenere che “l’autobiografia si può scrivere solo dopo i 40 anni”. Ebbene, io, avendone quasi il doppio, ho deciso di raccontarmi tenendo però ben presente la massima di un poeta britannico... del quale invece, a differenza di prima, ricordo molto bene l'identità. Wystan Hugh Auden scrisse che: “Ogni autobiografia tratta di due personaggi. Un Don Chisciotte, l’Ego e un Sancho Panza, il Sé”.
Allora, facendo le dovute riflessioni mi sono detto: “Saro non sei un personaggio che può destare curiosità o interesse; non sei uno capace
di fare cultura, non offri nulla di interesse pubblico, perciò niente “autobiografia”... bensì un semplice “diario”. Un diario della mia esistenza da lasciare a chi... in
futuro... avrà voglia di leggere chi ero.
Mi chiamo Rosario Azzarà, per gli amici Saro, Sarino Saretto, Sasà e finanche Dottore, Cavaliere, Ingegnere titoli mai posseduti se non un semplice Diploma di Ragioniere e Perito Commerciale conseguito tra l’altro in età adulta.
Sono nato il 14 ottobre 1945 in via Sbarre, a Melito Porto Salvo, un poetico paese adagiato sul Mar Ionio, in provincia della bellissima città di Reggio Calabria.
Mia madre Paola (Quattrone) era una “Peddharota”... cioè era di Pellaro... oggi zona sud della città di Reggio ma all'epoca Comune
autonomo.
Mio padre Giuseppe era invece un “Sartulavecchiotu”... cioè era di San Lorenzo Marina, un altro paese della provincia, bagnato dallo Ionio, poco distante da Melito e chiamato talvolta Torre del Salto o Salto La Vecchia.
“Uno sguardo al mio passato”
Parlare di sé non è facile, è decisamente un compito arduo; tutto sommato mi sono ripromesso di tentare di descrivermi quantomeno con un'onesta intellettuale che mi consenta di essere oggettivo... solo un pò, non troppo!!!
L’apparenza esteriore ha sempre rivestito un ruolo importante nella società, affermazione piuttosto condivisibile e già sentita... ma così era nel passato e così è soprattutto oggi... tempi veloci, soglia di attenzione ridotta ai minimi termini, bombardamento continuo di immagini e informazioni. Figurarsi che importanza può avere l'essenza dell'essere.
Fin da giovane, non ho mai avuto la presunzione di reputarmi un “bello”.
Anzi, mi consideravo e ne sono convinto tutt'ora, di non essere attraente, certo, neanche un brutto brutto.
Il mio viso ha dei lineamenti duri, spigolosi... ha meno chance di un viso tondeggiante che di per sé offre maggiore fiducia ed è più rassicurante nelle relazioni interpersonali.
Inoltre, il mio corpo è fantasticamente dotato di una curvatura (a volte, lo ammetto, un pò esagerata) dovuta sia alla rapida crescita giovanile che alle ernie discali che mi hanno spesso tormentato.
Queste ultime sono le conseguenze degli “sforzi lavorativi” che per anni ho compiuto, sin dalla giovane età, ogni mattina.
Sollevare manualmente sette pesanti saracinesche dell’azienda di mio padre.
La cifosi, c.d. antalgica
La cifosi, c.d. antalgica dovuta ad ernie discali, ovvero un’accentuata curvatura della schiena, è
stata spesso fonte di fortissimi dolori, gli stessi che mi hanno costretto, nel 1980, quando avevo 35 anni, a ricorrere a delle cure presso il Policlinico Careggi di Firenze; ho subito un
intervento ad opera del prof. Giacomo Falcone, anch'egli calabrese, originario di Gallico (RC) e tra l'altro fratello di un mio compagno di classe negli anni ’58-‘59 presso l’Istituto Agrario di
Palmi; grazie alle cure del Prof. Falcone ho posto rimedio sia ai dolori insopportabili e sia all'aggravamento posturale... sebbene per i successivi dieci anni ho dovuto monitorizzare
costantemente la mia condizione fisica.
Ad oggi la postura cifotica si è accentuata, è diventata una gobbetta... anche piuttosto evidente lo ammetto. Ma ho un'età... riconosco che non sono particolarmente dedito all'attività fisica e trascorro parecchie ore seduto alla scrivania del mio studio. Tutti fattori che sicuramente non mi danno una mano.
Ma al mio aspetto estetico non ho mai dato troppa importanza; non me ne sono fatto mai un cruccio anche perché non vado in giro con il doppio specchio, fronte retro e inoltre evito, accuratamente, lo specchio di casa. Anzi, quando mi capita di osservare la mia immagine riflessa, mi guardo... ci penso su e poi mi lascio andare... con pacata e lucida autoironia ad una tipica espressione del mio amato dialetto: “... puuu Saru... chi ssi bruttu!!!” Dopo, per fortuna, una buona e sana risata sdrammatizza il tutto.
A volte però mi illudo di avere una bella immagine... si perché faccio mia la bellezza del mio interlocutore.
Un bias cognitivo esplicito... m'influenzano i fattori esterni e, se riconosco in chi mi sta davanti la bellezza, la simpatia o qualunque altra dote... attribuisco
a me stesso quelle stesse qualità, sebbene non ci sia un vero motivo per farlo.
Per dirla diversamente sono come quegli spettatori che non perdono una puntata della loro “soap opera” preferita e s'immedesimano a pieno in quegli amori, in quegli intrighi raccontati sullo schermo. Prima ridono, poi si crucciano, come se facessero parte della scena e si sentono belli e eleganti come i personaggi della storia.
Nella società odierna fatta di tik tok e di social in generale, televisione, foto patinate da photoshop ecc, vale, più del passato, l’apparenza esteriore rispetto all’essenza interiore. Per cui i soggetti come me fanno sforzi per colmare il gap.
Se sono stato accettato presso ambienti di vario genere e mi sono accaparrato la fiducia e la benevolenza dei miei interlocutori, credo sia merito della mia umiltà e del mio senso della misura. Il metro ce l’ho sempre a portata di mano.
Credo di essere una persona gentile, ringrazio pure il Vigile Urbano che mi ha fatto la multa.
In generosità non ho dubbi…è stata troppo esagerata.
Ho detto “è stata”, perché quel tipo di generosità, che oggi, purtroppo, mio malgrado, non me la posso più permettere, in quanto non tenevo conto dell’equilibrio “generosità-prudenza finanziaria” onde evitare di incorrere in problemi economici che oggi ho In tema di generosità, evito di fare inutile filosofia ma mi va di raccontare un episodio, da dove è nata la mia identità, la mia predisposizione caritatevole verso i bisognosi.
Da giovane ho assistito al getto di soldi dal retrostante balcone da parte di mia mamma: “Teni Peppi cattaggi u latti pi fighioli” (Prendi Peppe, compra il latte per i tuoi figli).
Osai rimproverarla: Oh, mamma, che culo che hai (in segno di abbondante generosità)
Mia madre mi rispose: “ no, figghiu puru to padri mi dissi a stessa cosa”.
E mi raccontò l’episodio già successo, ovvero che mio Padre rientrato dal lavoro per pranzo chiese di quel pezzo di formaggio rimasto e mia madre confessò di averlo donato tutto ad un povero che bussò alla sua porta, e qui mio padre usò l’espressione “ Oh, Paola che culo che hai. Potevi dargli la metà”.
Il giorno dopo, mi raccontò mia madre, un certo Cavaliere Calveri di Brancaleone, gli regalò una “una grande pezzota i formaggiu” il che permise di dire a mio padre al ritorno del lavoro: “vidi Peppino comu c’è a Divina Provvidenza?!?!” Oggi possiamo dire “aiuta che Dio ti aiuta”.
Anche se con me Dio non è stato, negli ultimi tempi, così generoso come avrei voluto…ma i disegni di Dio non sono percepibili dall’animo umano.
Pertanto, ringrazio comunque Dio e mi inchino alla Sua grazia per avermi concesso di arrivare, anche se con pochi successi e tanti insuccessi, alla mia età ed essere cosciente dell’affetto e dell’amore che mi viene riservato dalle figlie, Stefania e Caterina, dai miei nipoti, Sofia e Niki, da Mimmo, mio fratello, e dai rispettivi figli\e Maya, Zelda, Dimitri e da Nella, mia sorella, con il figlio Luca che tanto ringrazio per avermi dato un valido aiuto per la realizzazione dei testi di questo sito.
Lo stesso affetto e ringraziamento lo rivolgo a chi fisicamente non è più vicino a me ma sempre presenti nei miei ricordi e nel mio cuore: miei genitori e dei miei fratelli Michelangelo (Lillo) e Carmelo (Memè) di cui parlerò in apposite pagine.
Beh...in difetti ? Oh, mamma mia, ne ho tanti.
Uno in particolare. Ma mi auto consolo perché non è una mia esclusiva ma appartiene al DNA degli Azzarà: la “presunzione” ! A volte non mi sopporto neanche io!!!
Però, devo dirlo anche per rispetto della tribù (o casato come vorrebbero gli appartenenti), che, come tutti gli Azzarà, mi rendo conto di aver sbagliato, so chiedere sentite scuse.
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